Xavier Jacobelli sulla tragedia di Rieti: "Il basket si dovrebbe fermare"
La tragedia di Rieti ci ha imposto uno stop. Troppo gravi i fatti per non fermarci a riflettere sull’accaduto, a come debellare la violenza nel mondo dello sport dopo l’ennesima morte assurda. Lo abbiamo fatto con il nostro Xavier Jacobelli, ecco cosa ci ha detto.
La cronaca impone una riflessione sulla violenza nel mondo dello sport. Cosa pensi dei fatti di Rieti? La premeditazione è probabilmente l’elemento più inquietante della faccenda, non trovi?
“Sbigottimento. Choc. Rabbia. Dolore. Sono questi i sentimenti suscitati dal bestiale agguato costato la vita a Raffaele Marianella. Aveva 65 anni e le cronache ci hanno raccontato che fra un mese sarebbe andato in pensione. Davvero non si può morire così. La premeditazione è un’aggravante che rende ancora più intollerabile ciò che è successo, soprattutto perché, dal basket al calcio, la cronaca di questi anni è stata insanguinata dai gesti criminali di delinquenti che non sanno che cosa sia lo sport e quali siano i suoi valori”.
Il ministro Abodi e la premier Meloni hanno parlato di “atto criminale” e “violenza inaccettabile”. Che decisione ti aspetti dalle istituzioni? Dopo una tragedia del genere, ha senso che lo sport continui come se nulla fosse? Non sarebbe il momento di imporre uno stop e riflettere su quanto accaduto?
“No, non si può continuare come se nulla fosse. Le partite a porte chiuse, a Rieti, sino a fine stagione, sono soltanto il primo provvedimento che doveva essere preso. Ma non basta. Tutto il basket, non solo l’A2, si dovrebbe fermare in segno di lutto per ciò che è accaduto e di partecipazione concreta al lutto della famiglia Marianella. È il minimo che si possa e si debba fare”.
La violenza negli stadi di calcio è una piaga ormai nota. Gli episodi di Rieti riguardano, invece, il basket. E’ un segno che il problema si sta allargando anche a discipline che erano considerate meno a rischio?
“La violenza nel calcio non è stata debellata. Rispetto a ciò che accadeva negli Anni Ottanta, Novanta e nel primo decennio del nuovo secolo, la situazione si è frantumata in mille rivoli. A livello di prima fascia, cioè delle serie professionistiche, il numero degli incidenti è stato circoscritto, ma gli scontri di Pisa che hanno preceduto la partita Pisa-Verona e altri incidenti avvertano come non ci si debba illudere che questo cancro sia stato spazzato via. Lo conferma il numero delle barbare aggressioni subite dai giovani arbitri, quando non giovanissimi, sui campi dei dilettanti: un’autentica vergogna nazionale. Tanto che, per proteggerli, la figura dell’arbitro è stata equiparata per legge a quella del pubblico ufficiale. Il Decreto Sport 2025 ha modificato l’articolo 583-quater del Codice Penale: chi aggredisce, minaccia o offende un arbitro durante l’attività sportiva subirà le stesse conseguenze penali riservate ai pubblici ufficiali, come le pene più severe, compreso il carcere. Nel frattempo, è allarmante l’attecchire del fenomeno violenza nell’ex isola felice della pallacanestro, anche se il criminale omicidio di Marianella è stato compiuto lungo la superstrada Rieti-Terni e non all’interno di un palasport”.
Dove affonda le radici l’odio che, con tragica frequenza, viviamo nei palazzetti e negli stadi di tutta Italia?
“In un clima di declinante civiltà e di rispetto umano, di maleducazione endemica, di tracotanza spesso impunita. Si diceva che sopravvivere al Covid ci avrebbe reso tutti migliori. Sta accadendo l’opposto. Secondo il sociologo Umberto Galimberti, la violenza negli stadi è un “rito” senza uno scopo specifico, che si interrompe solo interrompendo il rito stesso. Per interromperlo, occorre una mano severa”.
Il tifo contro. Perché non si va più a sostenere la propria squadra quanto piuttosto a inveire verso gli avversari?
“Perché l’educazione agli autentici valori dello sport come il fair play, il rispetto degli avversari e l’accettazione del verdetto del campo troppo spesso vengono soppiantati, vilipesi, oltraggiati dall’odio nei confronti degli avversari; da una rivalità che travalica l’ambito sportivo e sfocia nell’insulto verbale all’altro, visto non come avversario da superare sul campo, ma come nemico da abbattere”.
Come si possono insegnare i valori dello sport ai nostri bambini quando, non di rado, i genitori si rendono protagonisti di risse sugli spalti?
“Bisognerebbe mandare a scuola di educazione civica o, più semplicemente, di educazione, i genitori frustrati, falliti, sfigati che riversano sui malcapitati figli i loro malesseri, le loro insoddisfazioni, le loro insofferenze. Più concretamente, come ha deciso di fare l’Ostiamare di Daniele De Rossi, vietare qualunque tipo di intromissione dei genitori nell’attività sportiva dei figli diretta dagli allenatori e dai dirigenti del club romano. Niente telefonate o contatti con il mister per chiedergli di schierare titolare il rampollo che, secondo il padre o la madre o tutti e due, è l’incompreso, nuovo CR7; in caso di recidiva, che se ne stiano a casa”.
Vincenzo Spagnolo, Gabriele Sandri, Ciro Esposito, ma la lista dell vittime della violenza nello sport è tristemente più lunga. E adesso Raffaele Marianella. Come si cura qesta piaga che non guarisce mai?
“Con la certezza della pena per i delinquenti e gli assassini giudicati colpevoli di questi crimini. Non ci sono alternative”.